NOTA INTRODUTTIVA
C’ è un disegno di Hugo raffigurante un abbozzo di corpo umano, con la testa senza tratti somatici ma delineata con precisione, un braccio proteso con la mano spalancata. Il titolo è La coscienza davanti a una cattiva azione, ovvero il luogo del desiderio, ciò che Hugo desidererebbe per molti suoi personaggi che, nelle malvagie azioni, perseverano.
E se c’ è un romanzo che quell’immagine nega, è proprio Notre Dame de Paris, un testo privo di remissioni, che parla del buio delle coscienze o, quantomeno, nel quale coscienze di natura ibrida finiscono tacitate. La particolarità -e ciò che, probabilmente, ha contribuito al successo dell’opera- è che tutto accade con una trama in sé esile, contornata da situazioni che, come sempre in Hugo, si muovono tra antitesi e complemento, nel caso dei due regni speculari dell’amministrazione dell’ingiustizia: la Corte Reale e la Corte dei Miracoli; dove s’intrecciano altre singole vicende spesso incentrate sulle disperate anomalie di legami familiari (Esmeralda e Gringoire; Frollo e il fratello Jehan; Esmeralda e la madre) e sentimentali (Esmeralda e Phoebus, Frollo e Quasimodo ed Esmeralda), ma pure la presenza del deus-ex-machina Hugo, che muove palesemente i fili che riannodano la storia alla Storia (di quel XV secolo, ma pure dei precedenti e successivi), con confronti e condanne, richiami a persistenze di stupidità, delusioni e nostalgie.
Le discussioni esplicite di Notre Dame de Paris sono le dissertazioni su cultura e società, su architettura e scrittura e sul loro passaggio di consegne proprio allora, rese a loro volta spettacolari nella traccia di un poema della Parigi che fu, e che suscitano la medesima partecipazione che lega il lettore alle vicende di Esmeralda, Quasimodo e Frollo.
Quel Frollo che, per certi aspetti erede del Monaco di Lewis, è personaggio unico nel suo universo narrativo. Notre Dame de Paris può essere pensato come un romanzo di liberazione, in cui l’autore brucia le proprie fonti per accingersi a una avventura narrativa tutta sua.
5Notre Dame de Paris, nato come romanzo, diviene un progetto più che trentennale, illustrato dalla Prefazione a Les travailleurs de la mer del 1866:
Una triplice Ananke pesa su noi: l’ ananke dei dogmi, l’ ananke delle leggi, l’ ananke delle cose. In Notre-Dame de Paris l’ autore ha denunziato la prima, nei Miserabili ha segnalato la seconda; in questo libro indica la terza. A queste tre fatalità che avviluppano l’uomo si uniscono la fatalità interiore, l’Ananke suprema, il cuore .
(Hugo, 1866)
E Ananke è parola che Hugo dichiara d’ aver letto “nell’ oscuro recesso di una delle torri” della cattedrale. Una parola che è una trama, perché è il cuore la tragedia di questo romanzo. È il cuore, l’ amore, ciò che fa di Notre-Dame un romanzo di ossessioni concluse in tragedia: il delirio della conoscenza in Frollo, che vede l’ uomo razionale sconfitto dal Mostro che alberga in lui, facendolo muovere per vie non razionali ma passionali, contrariamente al ‘mostro’ Quasimodo che, per oltre metà romanzo definito con impietosa casistica da dizionario nel suo status bestiale, è umanizzato da un solo gesto di pietà (Esmeralda che lo disseta, alla gogna) che lo spinge a un matrimonio mortuario, lasciandosi morire abbracciato al cadavere di Esmeralda. Quella Esmeralda che si tradisce avvertendo la voce dell’amato Phoebus: un nome ossimorico, essendo portato da un uomo senza cuore e senza intelligenza. Del resto, la solarità stessa del nome di Phoebus è la solarità del nulla, contrapposta al cupo e al nero di un romanzo i cui estremi della mostruosità avviluppante l’uomo risiedono non nell’orrida fisicità di Quasimodo, ma nella terrificante abdicazione all’ umanità di Frollo e nella narcotizzata indifferenza di Phoebus. E il buio richiama l’abisso; quelle vie interne che sono i moti del cuore, il quale, come scrive Hugo in una lettera coeva al romanzo, “è il più implacabile degli abissi”; e da cui lo scrittore
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sembra riprendere la struttura del romanzo, fatto sì di momenti esteriori e di folla, ma gestito soprattutto nei movimenti di una verticalità rovesciata. È la ricerca dell’invisibile dietro -e dentro- la rappresentazione spettacolare; il pedinamento del doppio sotterraneo, di quell’oscurità e di quel mistero da cui procedono sentimento del terrore, agitazioni, inquietudini, e che dà vita a ciò che Baudelaire definisce come le “zone misteriose, in ombra, le più affascinanti di Victor Hugo” .
Il tratto distintivo di Hugo sta proprio nella capacità di immergersi nelle zone oscure dell’animo umano, e tale caratteristica ha accompagnato tutta la sua produzione, sebbene abbia preso forme diversamente strutturate nel corso del tempo.
Jung, allo stesso modo, ci mostra come l’immergersi nell’oscurità dell’inconscio significhi, per l’individuo, venire a patti con le parti della personalità sconosciute e offuscate dall’Ombra. Ci spiega, inoltre, come questo ‘incontro’, se gestito in modo ottimale, permetta di aprire le altre porte di quel cammino psicologico ed evolutivo che Jung definisce “processo di individuazione”, quel viaggio interiore che l’uomo affronta per fornire a se stesso un nuovo assetto psicologico, che consenta una libera espressione della propria personalità.
Per raggiungere una piena individuazione bisogna, dunque, integrare necessariamente tutte le parti complementari della propria personalità e non rinnegare gli aspetti negativi, mefistofelici, del proprio spirito. Nell’artista, questa integrazione sembra assumere delle connotazioni particolari, perché pare quasi che essa indugi nella parte-Ombra, concedendole più spazio e maggiore libertà di azione.
Ricomporre la personalità, d’altra parte, implica l’integrazione delle sue varie parti: da sempre, i miti e la letteratura ci illustrano che siamo connaturatamente costituiti di elementi contrapposti. Questa contrapposizione rappresenta un archetipo stesso sia dell’esistenza umana che della natura del mondo: siamo fatti di princìpi contrastanti ma che, integrati idoneamente, riescono a trovare un giusto equilibrio.
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E’ a tale equilibrio, che la psiche aspira nel suo tentativo di integrare gli opposti. Ciò che deve essere integrato, secondo l’ottica junghiana, sono le tendenze complementari dell’uomo: il Conscio e l’Inconscio, la Persona e l’Ombra, l’Animus e l’Anima. Allo stesso modo, ciò che secondo Hugo deve essere raggiunta è la consapevolezza che tutti i contrari diverranno fratelli(Hugo, 1864). Questa integrazione, a sua volta, è un mito, in quanto richiama le forme alchemiche della produzione del ‘terzo elemento’, nonchè la tradizione dell’androginia, caratteristiche dei personaggi letterari. La cosa che più mi colpì, la prima volta che lessi Notre Dame de Paris, fu questa sovrapposizione di pensiero con Jung. Jung, come Hugo, sostiene che il segreto della completezza (il raggiungimento dell’archetipo del Sè) sia nella unione degli opposti, nella comprensione della compresenza nell’uomo di ‘bene’ e ‘male’ e, in sostanza, nell’integrazione di essi. Il parallelismo che il padre della psicologia analitica traccia con l’opus alchemico può essere fatto risalire al percorso di rinascita dell’individuo, che deve passare dall’uomo vecchio all’ uomo nuovo. Tutto questo permette una rinascita ma, per arrivare a questa meta, è necessaria la morte (o, per restare nella metafora, la nigredo). Lo stesso discorso viene, implicitamente, portato avanti da Hugo in Notre Dame de Paris. Se, infatti, esplicitamente esso ha molto del romanzo storico, è pur vero che esiste un altro livello, al di sotto della storia narrata, che ‘parla’ tramite i numerosi riferimenti simbolici e uno stile incentrato interamente sull’ossimoro. Notre Dame de Paris, si può dire, narra una storia ‘dentro’ la storia, è il racconto di un percorso interiore in itinere, quello dell’uomo che lo scriveva -in una nekya di cinque mesi di isolamento dal mondo- ma anche, poichè Hugo è un esemplare di quello che chiamiamo personalità creativa, un racconto che parla in termini collettivi. Scrive Jung:
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l’essenza dell’opera d’arte, infatti, non consiste nell’essere carica di singolarità personali (quanto più questo avviene tanto meno può parlarsi d’arte), ma nel fatto di innalzarsi al di sopra di ciò che è personale e di parlare con lo spirito e con il cuore allo spirito e al cuore dell’umanità. Ciò che è personale è limitazione, anzi vizio dell’arte.
(Jung, 1950, p.84)
La capacità di trascendere la specificità delle problematiche individuali, in favore di una esposizione universale dei conflitti dell’animo umano, è anche la capacità del genio di sublimare i propri contenuti inconsci per renderli fruibili dal lettore. Non si tratta di un lavoro cosciente di traduzione da un linguaggio privato ad uno universale, ma è la chiarezza stessa con la quale i fenomeni si manifestano agli occhi dell’artista a conferirgli una capacità espressiva di particolare efficacia.
La capacità creativa della mente umana, come la possibilità di dare corpo e struttura alla propria realtà psichica (prima che a quella oggettuale), sono le caratteristiche dell’artista, che riesce a esprimersi tramite immagini simboliche collettive.
Prendendo come riferimento la figura di Hugo, e concentrandomi sull’opera che, a mio parere, più rispecchia tutto questo, tra le sue produzioni, ho pensato di incentrare questo lavoro sui simbolismi dell’archetipo dell’Ombra presenti in Notre Dame de Paris, ripercorrendo dapprima il pensiero di Jung e dei rapporti tra la psicologia del profondo e la letteratura e, dunque, concentrandomi sulla tematica dell’Ombra e di come i suoi simboli vengano alla luce all’interno del romanzo.
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POST SCRIPTUM:
Questo blog è incline alla condivisione, come tutto ciò che su internet si trova. Non so come proteggere le pagine internet, e in ogni caso sarebbe inutile. Quindi, lancio un appello diretto a chiunque capiti qui per caso, a qualsiasi studente che cerchi materiale per qualcosa, a ogni individuo che cerchi spunti per fenomenologizzare la propria figaggine: copiare questo post e incollarlo da qualche parte, usarlo per fini di studio, stesura di roba spacciata per vostra (mentre invece è mia) ecc, è un REATO A LIVELLO INTRINSECAMENTE UMANO…… quindi fate il favore … evitate,ok?
Siate tanto gentili da rispettare Jung, Hugo e Pandora.
Pandora Aion